Ivan Melkumjan: «Mi avevano soprannominato «la nostra voce russa d’oro»

Ivan Melkumjan:
Dopo il mio trasferimento in Italia, a Bergamo, era impossibile esercitare la mia professione [Ivan Melkumjan ha iniziato il suo percorso professionale come artista professionista e cantante]. Allora per un cittadino sovietico era praticamente impossibile trovare un lavoro in teatro, benché a Bergamo ci sia un eccellente teatro dell’opera che viene definito il «Laboratorio di Donizetti».

In quel periodo il direttore del teatro doveva controllare i documenti, attraverso alcuni canali ufficiali, e poi presentare una richiesta per ottenere il permesso d’ingaggiare un cittadino dell’URSS. Erano terrorizzati al solo pensiero di parlarne e non esistevano meccanismi che consentissero d’essere ingaggiati senza un invito speciale.

Ed ecco che cosa feci: presi «in prestito» da mia moglie 5.000 lire, con le quali comprai una pubblicazione che elencava tutte le università e le facoltà italiane e mandai a tutte il mio curriculum. Per quanto possa sembrare strano, ebbi risposta da 3 università; la più seria era quella della facoltà per traduttori simultanei della Scuola Superiore di Lingue Moderne presso l’Università di Trieste. Avevano bisogno di un lettore, di una persona, cioè, che non doveva spiegare la grammatica o insegnare la letteratura, ma proprio leggere i testi che venivano utilizzati per la traduzione simultanea. Desidero sottolineare che era l’unica facoltà statale di traduzione simultanea in tutta Italia ed il dipartimento di lingua russa era diretto da colui che divenne poi mio caro amico e splendido collega, il professor Francesco Straniero Sergio, meraviglioso e, a mio parere, unico vero insegnante di traduzione simultanea dal russo all’italiano. Purtroppo, quando è scomparso il corso di  lingua russa è stato chiuso.

Ed ecco, in quel momento tutto ha combaciato. Cioè, ho messo a frutto le mie specializzazioni, il mio essere artista e speaker. Era proprio quello che serviva per quell’incarico. Cominciai a lavorare all’università e contemporaneamente arrotondavo lo stipendio lavorando come interprete in varie organizzazioni e agenzie milanesi e bergamasche.

Un giorno venni chiamato a doppiare uno spot pubblicitario di una società produttrice di mobili. Registrai il testo e dopo qualche tempo lo studio mi richiamò per chiedermi il permesso di dare il mio numero di telefono a Canale 5, la televisione ammiraglia del gruppo Fininvest, e mi spiegò che al dipartimento internazionale di Publitalia’80 avevano sentito la mia voce e avrebbero voluto collaborare con me, visto che in quel momento stavano preparando una serie di programmi speciali in lingua russa.

Il proprietario di quel megagruppo era allora Silvio Berlusconi. In quegli anni, non come politico ma come imprenditore, aveva stipulato un accordo con la Televisione di Stato (russa, n.d.r.) ed aveva acquistato uno spazio di 45 minuti al mese che doveva riempire di informazioni. La trasmissione allora si chiamava «Progress, Information, Advertising» ed era trasmessa dal Primo canale della Televisione Centrale.

Era stata un’idea di Berlusconi, il primo tentativo di collaborazione con l’URSS. Fu allora che lo conobbi e conobbi le sue qualità di grande fucina di idee. In epoca sovietica non si poteva vendere pubblicità, ma per lui era indispensabile fare promozione e guadagnarci.
Le trasmissioni per quel programma venivano preparate da una redazione speciale degli studi televisivi di Mediaset a Milano. Erano clips sull’Italia, la cultura, l’economia, che contenevano, in forma non esplicita, i primi spot pubblicitari. Per esempio, nella trasmissione dedicata all’economia europea d’improvviso e in maniera soft si parlava di Fiat o del nuovo lussuoso modello di Porsche.
L’obiettivo principale non era solo quello di fare una traduzione fedele. Serviva una voce particolarmente bella e affascinante, come si dice nell’ambiente: «accattivante»… E dunque, ebbero fortuna loro ed ebbi fortuna io, perché automaticamente passai dalla categoria di coloro che guadagnicchiano alla categoria di quelli che guadagnano.

Il rapporto era tanto serio che firmammo un contratto, mi venne anche assegnata una macchina, visto che era impossibile prevedere a che ora sarebbe finita la registrazione.

Quindi la mia prima collaborazione con Silvio Berlusconi iniziò proprio lì, anche se allora non lo incontrai mai di persona. Però, come mi raccontavano i suoi, tutti seguivano con grande zelo la preparazione e la messa in onda di quel programma. Furono proprio loro a dirmi che negli studi televisivi mi avevano soprannominato «la nostra voce russa d’oro».

Poi insegnavo all’università e lavoravo a Milano come interprete a livelli piuttosto seri; traducevo già per organismi pubblici, locali e statali: il comune di Milano, l’ICE, più varie società, ma mi rendevo conto che non mi bastava, l’elemento creativo della mia personalità era insoddisfatto. D’improvviso venni a sapere che a Roma c’era una radio internazionale, allora praticamente sconosciuta in URSS, e che la RAI produceva trasmissioni in lingua russa. Persi letteralmente il sonno! Infatti, io ho sempre pensato che il lavoro di speaker fosse un lavoro più creativo di quello dell’interprete, nonostante che anche il mio approccio alla traduzione sia sempre stato creativo.
Insomma, feci le valigie e venni ad un’audizione a Roma, dove mi fu detto che non c’erano posti. Venni una seconda volta, una terza… arrivai fino al redattore capo delle trasmissioni in lingua straniera, Augusto Milana, che mi disse che c’era la possibilità di fare la trasmissione in lingua russa del sabato e mi chiese se ero pronto a venire a Roma da Milano ogni sabato. Naturalmente accettai.
Per circa sei mesi venivo a Roma da Milano a lavorare per guadagnare, diciamo, 75.000 lire (allora c’erano le lire) e ne spendevo anche 100.000 di viaggio. Ma non aveva importanza!

E come, per fortuna, accade spesso nella vita, ho iniziato a lavorare il sabato, dopo di che la redazione ha cominciato a chiamarmi anche in altri giorni: il lunedì, il mercoledì, il venerdì, nel week end… Ben presto si pose il problema del trasferimento a Roma. Ho lavorato volentieri come traduttore-annunciatore dei programmi in lingua russa di Rai International.

A un certo punto accadde che coincidessero la visita di tre giorni dell’allora Presidente del Consiglio nella Federazione Russa ed un colloquio del Presidente della Repubblica. L’interprete di fiducia, che era in viaggio, sarebbe potuto arrivare in ritardo all’incontro con il Capo dello stato.

La funzionaria che dirigeva il Servizio Traduzioni ed Interpretariato presso l’ufficio predisposto del Cerimoniale Diplomatico della Repubblica, si trovò di fronte alla necessità di convocare urgentemente un altro interprete.

Quando cominciò ad interessarsi delle possibili candidature, le fu indicata la mia persona. Mi chiese molte volte se capissi quale responsabilità comportava il lavoro. Voglio sottolineare in maniera particolare la parola «responsabilità». Infatti grande è la responsabilità di coloro che preparano gli incontri al massimo livello e che quindi selezionano gli interpreti. Senza falsa modestia, posso dire che in tutta la mia carriera sono sempre riuscito a meritare la fiducia riservatami.

E dunque la prima volta che tradussi un incontro protocollare ero molto agitato, nervoso, la notte precedente praticamente non dormii… uno dei consiglieri politici del Capo dello stato, ex giornalista che aveva lavorato molti anni a Mosca e conosceva il russo, mi guardò in maniera strana per tutta la durata dell’incontro continuando a muovere la testa in segno di approvazione. In un primo tempo, pensai che fosse insoddisfatto e che avessi tradotto qualcosa in maniera sbagliata. Ma alla fine si avvicinò a me e sorprendentemente mi chiese: «perché non ha mai lavorato con noi prima?». Insomma, dopo quell’incontro sia il Ministero degli Esteri, sia il Quirinale, cominciarono ad ingaggiarmi in ogni occasione. Dopo di che, avendo sentito che ero un buon interprete, venni invitato dal Cerimoniale di Stato a tradurre in occasione delle trattative tra il premier italiano ed un suo altolocato ospite russo e quindi alla conferenza stampa ed al pranzo successivi. Il primo ministro in quel momento era proprio Silvio Berlusconi.
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Chi lavora con Berlusconi sa bene che non sopporta le traduzioni schematiche. Per questo, ha sempre preferito parlare tramite il suo consigliere che conosce 5 lingue, ma che allora non sapeva il russo.

Le trattative e la conferenza stampa andarono bene, dopo di che ci fu il pranzo… Desidero sottolineare che Berlusconi ha sempre amato creare una certa atmosfera, raccontare le barzellette, ma lo faceva raramente perché non era sempre sicuro di essere capito correttamente.. E dunque, quella volta cominciò a dire al suo consigliere che voleva raccontare una barzelletta, ma non era sicuro… quello lo tranquillizzò rassicurandolo che me la sarei cavata. Berlusconi esitò per un po’, poi mi prese per mano, mi attirò verso di sé e mi sussurrò: «Che dice, ne raccontiamo una?» io risposi: «Va bene, proviamo…». Ed in quel momento detti tutto me stesso e cercai di mettere in campo tutte le mie capacità creative.

E cioè, non tentai di tradurre la barzelletta in tutti i dettagli, come probabilmente avrebbe fatto un altro interprete, ma misi a frutto l’abc dell’arte teatrale e, con creatività, cercai di trasferire «l’essenza e il sale» della barzelletta, che è proprio quello che va fatto. E d’improvviso Berlusconi, che era rimasto scettico sull’esito, sentì che il suo interlocutore, proprio sull’ultima frase sulla quale lui aveva posto l’accento, si era messo a ridere. In quel momento, incoraggiato dal fatto che gli ospiti avevano capito, chiese: «Allora ne raccontiamo un’altra?!».
In poche parole, siamo riusciti a raggiungere il risultato più importante: suscitare una reazione, creare un’atmosfera… In questo caso specifico non è importante la perfetta coincidenza della traduzione. Per esempio, non ha nessuna importanza se si traduce «lepre» o «coniglio». Il valore principale di una barzelletta è quello di creare un contatto, un rapporto particolare, più amichevole, di creare un’atmosfera…

Quando l’incontro si avviava alla conclusione, Berlusconi chiamò il suo consigliere e gli chiese di scrivere i miei recapiti, sottolineando: «Da questo momento, lui è il nostro interprete!». Al che il consigliere rispose: «Già fatto tutto!».

Frammento dell'intervista di Ivan Melkumjan per il progetto Planet360.info, a cura di Elena Buldakova, Roma
Testo completo: http://bit.ly/1JbvwOd

16 Settembre 2015